Oligonucleotide antisenso efficace nella malattia di Huntington
GIOVANNI ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 18
maggio 2019.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Seguendo il lavoro con gli
oligonucleotidi antisenso (ASO) della dottoressa
Sarah Tabrizi e dei suoi numerosi colleghi, a circa
un anno di distanza dallo “stato dell’arte” di Lane e collaboratori[1], siamo prossimi a celebrare lo storico raggiungimento dell’obiettivo di
curare la malattia di Huntington, dopo circa un secolo e mezzo dalla sua prima
descrizione clinica. Clinicamente caratterizzata dalla triade dell’ereditarietà
autosomica dominante, coreo-atetosi e demenza, la patologia è causata
dall’espansione della normale ripetizione di triplette CAG nel codice dell’huntingtina (HTT), che dà luogo a una forma mutante della
proteina, responsabile dell’innesco dei meccanismi del danno. Il nucleotide antisenso IONIS-HTTRx, realizzato
per inibire le molecole di mRNA dell’HTT, riducendo
le concentrazioni della proteina mutata è risultato efficace in un trial clinico condotto su un campione di
46 pazienti.
Se il prosieguo della
sperimentazione clinica confermerà l’efficacia degli ASO e dimostrerà una buona
tollerabilità degli effetti collaterali, si potrà finalmente disporre di un
mezzo per modificare l’andamento di una malattia considerata intrattabile da
generazioni di neurologi, e migliorare la qualità della vita dei pazienti. Si
compirebbe un periodo storico cominciato quando il nonno e poi il padre di
George Huntington, medici di East Hampton, Long Island, raccoglievano le
registrazioni delle osservazioni cliniche di loro pazienti affetti da questo
disturbo del movimento. Sulla base della documentazione ereditata, George
Huntington, medico di Pomeroy nell’Ohio, condusse uno
studio accurato dei suoi pazienti coreici provenienti dalla stessa famiglia di
Long Island, e ne riferì alla Meigs and Mason Academy
of Medicine nel 1872. Il resoconto, sintetico ma preciso, fu pubblicato lo
stesso anno sul Medical and Surgical
Reporter di Filadelfia.
I cenni storici sono interessanti,
anche per ricostruire un lungo percorso dal quale possiamo ancora imparare
qualcosa[2]. Ad esempio, casi in seguito interpretati come Corea di Huntington, erano
stati descritti numerose volte nelle epoche precedenti, ma erano stati
trascurati. I medici sapevano dell’esistenza di disturbi del movimento in
pazienti che poi diventavano dementi ma, ignorandone le cause, non si
preoccupavano di distinguere la casistica che ricorreva nella stessa famiglia
da quella che appariva isolatamente o, addirittura, era associata a lesioni
traumatiche cerebrali. La precisione e la completezza della documentazione di
tre generazioni di clinici ha caratterizzato con precisione una sindrome
ereditaria, consentendo una specifica diagnosi, con la quale è cominciato lo
studio sistematico e poi scientifico della malattia. La trasmissione come un
carattere mendeliano dominante si può già desumere dalle parole dello stesso
George Huntington: “Quando uno o entrambi i genitori hanno presentato
manifestazioni della malattia, uno o più membri della prole invariabilmente
soffre della malattia, se vive fino alla vita adulta”[3].
Sessant’anni dopo, nel 1932, Vessie compì uno straordinario lavoro di ricostruzione
genealogica, dimostrando che tutti i pazienti diagnosticati di questa malattia
nell’Est degli Stati Uniti discendevano da soli sei immigrati, che erano giunti
nel 1630 dalla cittadina inglese di Bures, un
villaggio dell’East Anglia nella contea di Suffolk. Si è riusciti a ricostruire completamente una di
queste famiglie, andando a ritroso di 300 anni per 12 generazioni e rilevando
dai documenti che, ad ogni generazione, vi erano membri affetti dalla corea[4].
Un altro contributo importante, che
ha portato nel tempo a riconoscere un’ereditarietà autosomica dominante a
penetranza completa, è quello di Davenport: 857 pazienti di 962 erano figli di
persone affette da Corea di Huntington; per i 5 casi rimanenti si è ipotizzata
una paternità illegittima o una forma estremamente lieve in un genitore,
sfuggita all’accertamento diagnostico. Koller e Davenport hanno rilevato per
primi che i pazienti diagnosticati in età giovanile avevano il padre affetto,
mentre quelli con inizio della sintomatologia in età avanzata avevano ereditato
la corea dalla madre. Nei gemelli monovulari l’età di esordio della
sintomatologia era identica[5].
La prima acquisizione di rilievo per
la comprensione biologica della malattia di Huntington fu la scoperta da parte
di Gusella e colleghi di un marker associato al gene causale, localizzato sul braccio corto del
cromosoma 4. Successivamente, questi ed altri ricercatori in differenti
laboratori compresero che la mutazione patologica consisteva in una ripetizione
straordinariamente lunga della tripletta CAG in quel gene.
Qui di seguito si riporta
l’introduzione alla malattia e alla possibile terapia con ASO già proposta lo
scorso anno:
“George Huntington, un medico generico della città di Pomeroy
nell’Ohio, nel 1872 diagnosticò in una famiglia di Long Island e descrisse per
la prima volta una forma ereditaria di corea,
caratterizzata da movimenti ipercinetici aritmici degli arti, talora a sbalzi o
a scosse, che solo con grande approssimazione si possono accostare a quelli di
una danza. Alcuni storici della medicina hanno identificato questo quadro
patologico con la malattia anticamente nota con il nome popolare di “Ballo di
San Vito”, ma non tutti concordano con questa interpretazione. Nel secolo
successivo, questa sindrome neurologica familiare entrò in nosografia con la
denominazione eponima di Corea di
Huntington, poi sostituita da quella di malattia
di Huntington, quando è stata definita la sua eziologia genetica, come
patologia da triplette ripetute[6].
Non così
rara, come si credeva in passato, interessa nel solo Nord America più di 30.000
persone, e i trattamenti attualmente disponibili non sono in grado di arrestare
e nemmeno rallentare il suo inesorabile andamento progressivo[7].
A lungo,
in neurologia, è stata classificata tra le malattie neurodegenerative
ereditarie caratterizzate da alterazioni dei nuclei della base encefalica che
organizzano e regolano i movimenti. A sostegno della nozione che considerava la
corea di Huntington una malattia dei “gangli della base”, si rilevava che nelle
fasi iniziali erano particolarmente colpiti i neuroni responsabili del segnale
in uscita dallo striato[8], ma numerosi studi autoptici hanno documentato,
e non solo come accaduto in passato nelle fasi avanzate della malattia,
un’estesa atrofia degenerativa della corteccia, dei nuclei della base
telencefalica, del talamo e del tronco encefalico[9].
Nella fase
iniziale, la malattia appare circoscritta ed espressa come un disturbo motorio
ipercinetico[10], ma nella sua progressione tende ad estendersi,
raggiungendo la massima espressione entro 10 anni dalle prime manifestazioni e
mutando progressivamente i sintomi in bradicinesia e rigidità, che talvolta
ricordano quelle della malattia di Parkinson. Le alterazioni psichiche, che
nelle fasi iniziali vanno da una lieve depressione a disturbi del
comportamento, con l’avanzare del processo patologico evolvono in un declino
cognitivo che rappresenta spesso l’aspetto più rilevante e grave del quadro
clinico e la maggiore causa di disabilità[11].
La
progressiva perdita delle abilità cognitive e motorie è associata, al livello
cellulare, alla formazione di inclusioni citoplasmatiche e nucleari di
aggregati di huntingtina patologica che presenta un
tratto Poli-Q espanso. In proposito, si ricorda che un numero di ripetizioni
che ecceda le 35-36 glutammine si accompagna in genere a manifestazioni
sintomatologiche, sebbene alcuni studi abbiano evidenziato che i Poli-Q di
36-39 unità presentino solo una penetranza incompleta. La media su campioni
numerosi di persone affette è di 40-45 glutammine, ma sussiste una variazione
piuttosto ampia, che va da 35 a 120 ripetizioni, come è noto da più di due
decenni[12].
I casi
familiari della malattia di Huntington, trasmessi come un carattere mendeliano
semplice, ossia presente in tutte le generazioni, possono essere dunque
riportati alla mutazione di un gene del braccio corto del cromosoma 4,
altamente conservato attraverso la filogenesi. Si ricorda che l’identificazione
in corrispondenza del sito cromosomico 4q16 del locus genico responsabile,
mediante una convenzionale analisi del linkage, appartiene alla storia della neurogenetica perché
costituì la prima volta in cui la causa di una malattia autosomica dominante fu
stabilita con la sola analisi di varianti del DNA. A dieci anni di distanza
dalla definizione del locus si è poi
identificato il gene codificante una proteina di 350 kDA
con ripetizione di triplette nell’esone 1, ossia l’huntingtina[13]. Questa macromolecola polipeptidica citosolica e nucleare è estesamente espressa anche fuori
del sistema nervoso centrale; nei neuroni appare associata con i microtubuli e
le vescicole sinaptiche, pertanto si ipotizza una sua partecipazione ai
meccanismi del trasporto assonico. Fra i ruoli fisiologici più studiati vi sono
l’intervento nei processi che controbilanciano l’apoptosi e una funzione nei
meccanismi dello sviluppo.
A lungo si
è ritenuto che gli accumuli della proteina mutata fossero gli unici e diretti
responsabili del processo neurodegenerativo, attraverso l’innesco di una serie
di reazioni in grado di indurre la morte per apoptosi dei neuroni implicati.
Tuttavia, numerose evidenze sperimentali in contrasto con questa tesi hanno
trovato riscontro, e ben presto il quadro della patologia è emerso nella sua
notevole complessità. Ad esempio, nel modello murino della malattia YAC128, la
formazione di inclusioni cellulari della proteina mutata segue e non precede il
declino cognitivo-motorio dei topi. Un altro esempio è dato da un ceppo di topi
esprimente solo una breve sequenza dell’huntingtina
mutata, nel quale si rileva la formazione di aggregati e il conseguente
sviluppo delle inclusioni tipiche della malattia, ma non i segni di disfunzione
e degenerazione neuronica di altri ceppi modello della malattia, come YAC128[14].
Per questa
ragione, oltre a monomeri, oligomeri e protofibrille
formati dalla proteina Poli-Q, sono stati studiati numerosi altri aspetti della
patologia[15] come l’innesco dell’autofagia, il ruolo della
fosforilazione, dell’acetilazione e della sumoilazione.
Yanai e colleghi hanno studiato il ruolo della palmitoilazione[16].
La ricerca
terapeutica sul silenziamento genico è stata
inizialmente focalizzata sull’impiego dell’interferenza RNA (RNAi) e poi sugli ASO.
Stanek e
colleghi hanno dimostrato, già nel 2013, che la correzione mediata da ASO della
de-regolazione trascrizionale è associata a benefici comportamentali nel modello
murino YAC128 di malattia di Huntington[17].”[18].
(Tabrizi S. J. et al., Targeting
Huntingtin Expression in Patients with Huntington’s Disease. New
England Journal of Medicine - Epub ahead of print
doi: 10.1056/NEJMoa1900907, May 6, 2019).
Delle decine di istituiti europei e americani elencati dagli autori, si citano
solo i primi: University
College London (UCL), Huntington’s Disease Center, Department of
Neurodegenerative disease, Queen Square Institute of Neurology, and the U. K.
Dementia Research Institute at UCL, London (Regno Unito);
Department of clinical Neuroscience, Addenbrooke’s Hospital, University of
Cambridge, Cambridge (Regno Unito); Manchester Centre
for Genomic Medicine, St. Mary’s Hospital, Manchester University NHS Foundation
Trust, and the Division of Evolution and Genomic Sciences, School of Biological
Sciences, Faculty of Medicine, Biology, Medicine and Health, University of
Manchester, Manchester Academic Health Science Centre, Manchester (Regno Unito).
Ricordando che la sperimentazione con
ASO ha avuto inizio proprio presso le istituzioni ospedaliere del College di
Londra cui afferiscono gli autori principali dello studio qui recensito,
riportiamo questo brano per introdurre la sperimentazione appena terminata.
“Il 19
ottobre del 2015 fu annunciato l’avvio presso l’UCLH (University College London Hospitals) della prima
sperimentazione su pazienti affetti dalla malattia di Huntington di un farmaco
costituito da oligonucleotidi antisenso (ASO, da anti-sense oligonucleotides), ossia l’ISIS-HTTRx[19], in grado di silenziare l’huntingtina
mutata. La dottoressa Sarah Tabrizi, direttrice dell’Huntington Disease
Centre presso l’Institute of Neurology dell’UCL
e responsabile della sperimentazione clinica, si diceva entusiasta,
probabilmente attendendosi un approdo più rapido verso un trattamento in grado
di modificare il decorso della malattia attraverso questa strategia. Gli ASO
hanno una straordinaria potenzialità terapeutica per molte malattie
neurodegenerative, perché possono essere resi specifici per ciascuna proteina
patologica. La malattia di Huntington è ideale per questa strategia terapeutica
innovativa, perché caratterizzata da una certezza genetica: tutti i portatori
del gene mutante ad un certo punto svilupperanno la malattia.
Gli
oligonucleotidi antisenso (ASO) sono catene singole
di acidi nucleici in grado di legarsi ad una specifica sequenza di molecole
dell’acido ribonucleico (RNA) e regolare l’espressione genica
post-trascrizionale; tale proprietà può essere impiegata per ridurre l’espressione
della proteina primariamente mutata nelle malattie neurodegenerative ad eredità
mendeliana dominante, come la malattia di Huntington. L’espansione di triplette
CAG ripetute nell’esone 1 del gene che codifica l’huntingtina,
proteina nucleocitoplasmatica presente in assoni e sinapsi, causa la formazione
di un tratto di lunghezza variabile di poliglutammina
(Poli-Q)[20] all’estremo N-terminale della catena
polipeptidica. Tale alterazione della struttura primaria condiziona una
modificazione della configurazione terziaria che compromette la funzionalità
dell’huntingtina, ad esempio nell’interazione
proteina-proteina, e condiziona lo sviluppo di forme mal configurate, quali
monomeri, oligomeri e protofibrille, che intervengono
nei processi patogenetici della malattia di Huntington”[21].
Sarah Tabrizi
e i suoi 21 colleghi hanno condotto un trial
(fase 1-2a) randomizzato, in doppio cieco, con dose multipla crescente, su un
campione di 46 adulti affetti da malattia di Huntington in fase iniziale.
L’assegnazione random dei pazienti ai
gruppi per ricevere HTTRx o placebo in
somministrazione a bolo intratecale per 4 settimane in 4 dosi, è stata
realizzata secondo una ratio 3:1, con
34 volontari trattati con l’oligonucleotide e 12 col placebo. La selezione
della dose è stata guidata da modelli preclinici in topi e primati non umani,
che ponevano in relazione il livello della dose con la riduzione della
concentrazione di huntingtina, focalizzando lo studio
sulla sicurezza e sulla farmacocinetica del fluido cerebrospinale.
L’HTTRx ai
34 pazienti è stata somministrata in dosi crescenti da 10 a 120 mg, con un 98%
di eventi avversi di grado 1 o 2, ma senza alcun effetto indesiderato grave. Il
trattamento risultava in una diminuzione della concentrazione dell’huntingtina mutante dose-dipendente nel fluido
cerebrospinale.
In sintesi, la somministrazione
intratecale di HTTRx, non accompagnata da effetti
collaterali gravi, ha fatto registrare un’efficace riduzione dose-dipendente
della proteina mutante.
L’autore della nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione
della bozza e invita alla
lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono
nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella
pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-18 maggio 2019
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è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in
data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione
scientifica e culturale non-profit.
[1] Note e Notizie 16-06-18 Nuovi studi
sul silenziamento genico nella malattia di Huntington.
[2] I cenni storici sono tratti in
gran parte da una recente relazione del nostro presidente, che ha attinto a
varie fonti e, in particolare, a DeJong R. N., The
history of Huntington’s chorea
in the United States of
America, in Barbeau A., et al., Advances in Neurology,
Vol. I, Huntington’s Chorea,
1872-1972, pp. 19-27, Raven Press, New York 1973.
[3]
Cit. in “Huntington Disease (Huntington Chorea)” in Adams & Victor’s Principles of Neurology (Ropper,
Samuels, Klein, eds) 10th edition, p. 1076, McGraw Hill, New York
2014.
[4] Ropper, Samuels, Klein, idem.
[5] Ropper, Samuels, Klein, idem.
[6] Cfr. Note e Notizie 09-09-06 Malattia di Huntington: un importante progresso.
[7] Note e Notizie 22-10-11 Un marker per la malattia di Huntington.
[8]
Reiner A., et al. Differential loss
of striatal projection neurons in Huntington disease. Proceedings of the National Academy of Sciences USA 85, 5733-5737, 1988.
[9]
In Wichmann T. & Mahlon R. DeLong, Neurotransmitter and Disorders of the Basal
Ganglia, in Basic Neurochemistry
(Brady, Siegel, Albers, Price) 8th edition, p. 865, 2012.
[10] In contrapposizione concettuale
con i disturbi ipocinetici dovuti a patologia dello striato, come la malattia
di Parkinson, causata dalla degenerazione dei neuroni dopaminergici nigro-striatali.
[11] Note e Notizie 09-09-06 Malattia di Huntington: un importante progresso.
[12]
Gusella J. F. & MacDonald M. E., Huntington’s disease:
CAG genetics expands neurobiology. Current
Opinion in Neurobiology 5: 656-662, 1995.
[13] Note e Notizie 02-06-07 Una diagnosi precoce di corea di Huntington.
[14] Note e Notizie 09-09-06 Malattia di Huntington: un importante progresso.
[15]
Note e Notizie 06-02-10 Uno squilibrio neurotossico nella malattia di
Huntington. Si
veda nell’elenco delle “Note e Notizie” per numerose recensioni di lavori sulla
patologia della malattia di Huntington.
[16] Note e Notizie 09-09-06 Malattia di Huntington: un importante progresso.
[17]
Stanek L. M., et al. Antisense
oligonucleotide-mediated correction of transcriptional dysregulation is
correlated with behavioral benefits in the YAC128 mouse model of Huntinton’s disease. Journal of Huntington’s Disease 2 (2): 217-228, 2013.
[18] Note e Notizie 16-06-18 Nuovi studi
sul silenziamento genico nella malattia di Huntington.
[19] L’ ISIS-HTTRx,
somministrato nel fluido cefalo-rachidiano (liquor),
è stato sviluppato dalla ISIS Pharmaceuticals grazie ad una collaborazione con la Roche.
[20] La tripletta CAG = glutammina, o
“Q”, nelle ripetizioni di decine di unità dell’aminoacido è indicata con
“Poli-Q”.
[21] Note e Notizie 16-06-18 Nuovi studi
sul silenziamento genico nella malattia di Huntington.